SP-1 K

Genesi di un coltello da utilità/combattimento

 

Questa sezione vuole essere semplicemente una descrizione dei fatti che hanno portato alla realizzazione di uno dei progetti di coltello più discussi nel 2003 sul mercato italiano. Non tanto per il successo commerciale che ha avuto, ridottissimo in ogni caso in quanto se ne sono prodotti poco più di cento esemplari, prototipi pre-serie/finali compresi, ma per le soluzioni adottate a livello di ergonomia nel suo disegno, per la copertura stampa che ha avuto sulle riviste di settore, ed infine per lo scopo per cui è stato inizialmente progettato che lo ha portato inevitabilmente a "scontrarsi" sul mercato con almeno altre due ditte di coltelli che stavano lavorando ad un progetto simile.

Quello che segue è quindi un diario degli eventi legati alla genesi del coltello che oggi è conosciuto come SP1K, e che già attorno ad esso stanno nascendo leggende metropolitane o "libere interpretazioni" su alcune sue caratteristiche. Per fare un po' di chiarezza su questo progetto e anche per far capire a chi -e ce ne sono molti- è molto incuriosito da tutto ciò che sta dietro alla realizzazione di una lama di questo tipo. Io ed il mio collega (entrambi autori di questo sito) ci siamo divertiti molto a prendere al volo la sfida di progettare da zero questo coltello, anche se ci sono stati momenti con "meno entusiasmo" (per usare un eufemismo) e momenti di soddisfazione. Raramente si ha la possibilità di sapere dietro ad un coltello cosa veramente il suo progettista aveva in mente, a parte quei due o tre modelli famosissimi che hanno più di 40 anni di design su cui decine di persone hanno scritto vagonate d'inchiostro, magari senza neanche interpellare il designer stesso.

Ecco quindi, direttamente da chi ha progettato questo coltello come si sono svolti i fatti. Per una volta, tenendo conto che chi scrive è stato coinvolto in prima persona nella vicenda, lo stile potrà risultare un po' irriverente nei confronti di qualche personaggio civile e militare che potrebbe riconoscersi nelle righe che seguono. Dato che non faccio nomi intenzionalmente (primo perchè per certi Reparti è reato riportare i nomi e cognomi di operatori attivi), l'ultima cosa che voglio fare è offendere qualsivoglia persona/ditta. Il mio scopo è semplicemente descrivere in maniera libera e veritiera come sono andate le cose, a puro scopo informativo per chi si chiede, appassionato di coltelli e non, come certe realizzazioni prendono vita.

 

GIUGNO 2002

In qualità di collaboratori  della ditta, che poi avrebbe commercializzato il coltello quasi un anno dopo, e notoriamente riconosciuti come gentaglia con una passionaccia per tutto ciò che taglia con stile, siamo stati portati all'attenzione di uno schizzo in scala 1:1 di un coltello militare di futura adozione da parte di un Reparto Speciale. Lo schizzo era stato realizzato da un ufficiale del reparto e denotava una mano molto sicura nel tratto. Talmente sicura che quasi sembrava che il coltello disegnato fosse stato decalcato a matita sul foglio. In effetti dopo qualche secondo la forma di un coltellone "militare" di produzione italiana mi apparve in mente mentre osservavo lo schizzo. Confrontandolo con delle foto del coltello che avevo in mente la rassomiglianza fu totale. Quello che chiedevano era un coltello con punta tipo TANTO, con circa 17cm di lama, ed impugnatura con guancette in gomma. Il mio pensiero fu: <<Per essere una richiesta specifica da parte di un reparto di professionisti, non si sono sprecati tantissimo a pensare qualcosa di nuovo fatto su misura per loro, ma hanno semplicemente decalcato il coltello spacciato per militare più di moda nell'ultimo anno...>>. Questa mia frase bastò per mettermi in croce con diversi personaggi più o meno in alto nella scala gerarchica del Reparto stesso e con il titolare della ditta. Ma a tutt'oggi sono ancora di quel pensiero. In fondo, non penso di aver offeso nessuno, ma il loro rincrescimento direi che la dice lunga sulla coda di paglia che hanno... ;-)

La fotocopia dello schizzo elaborato da un Ufficiale preposto allo sviluppo del coltello del Reparto Speciale

Nulla era stato ancora deciso da questo Reparto e la domanda di sviluppare qualcosa "che serva sul campo agli operatori" fu estesa, anche se non proprio "ufficialmente" anche alla ditta a cui collaboravamo. Inizialmente qualcuno ai vertici del Reparto era convinto che si trattasse di una baionetta per le loro carabine di nuova adozione, e ci volle più di una telefonata per capire se volevano ancora fare una guerra di trincea con dei fucili molto corti oppure se volevano un coltello utility per aiutare il soldato a svolgere i suoi compiti quotidiani in missione. La mentalità militare del "deve fare di tutto" è apprezzabilissima, ma a volte dura a morire anche di fronte ad argomenti così concreti quali le differenze (e l'utilità) di una baionetta ed un coltello utility per il moderno soldato.

Iniziò così la pesantissima e frustrante fase di progettazione e design. Dimensioni? Utilizzo principale? Preferenze sui materiali? Quanti esemplari richiesti? Molte di queste semplici domande non ebbero mai risposte precise, e il più delle volte si dovette "sondare" i desideri precipui di questi operatori andando ad "intervistare" gli operatori più giovani oppure il Reparto Speciale vicino di caserma... La prima cosa che venne a galla fu che il "sogno proibito" di ogni operatore era avere al cinturone uno Strider ad 1/8 del suo prezzo originale. Le foto che gironzolavano in Internet di questi coltelli in mano a degli operatori "speciali" americani alimentavano questa voglia di averne uno anche loro. Ben presto avrebbero saputo che le foto in questione erano state realizzate ad hoc (come il 75% delle foto dei coltelli in mano a dei militari) per le pubblicità. Al secondo posto nel gradimento generale c'era la famosa marca italiana di coltelli militari. Perchè "ha un acciaio speciale" era la risposta che davano tutti quando lo citavano. L'acciaio è si di "nuova generazione", ma è durissimo e fragile (specie con le prime forme di angoli di spoglia dei primi modelli)! Però anch'io a tutt'oggi, che ben 3 anni fa ho acquistato anch'io uno di quei coltelli, trovo che il design italiano sia anni luce avanti rispetto a qualsiasi produzione americana del settore. Non è per gratuito campanilismo. I coltelli di quella ditta sono davvero belli da vedere e hanno uno stile, una "personalità" insuperabile.

Alla fine i concetti fondamentali furono:

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Lunghezza della lama più di 15cm e meno di 20cm

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Lunghezza totale sui 35cm (rapporto lama/impugnatura al 50%)

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Durezza dell'acciaio che permetta una raffilatura sul campo con mezzi relativamente poco sofisticati

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Non doppio filo totale (un coltello doppio filo è abbastanza inutile sul campo, e per neutralizzare un avversario basta e avanza un coltello con una punta decente. Notare però che quest'ultima richiesta d'utilizzo non è mai stata citata nei vari colloqui informali con i militari)

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Seghettatura per facilitare il taglio rapido di corde di Nylon con diametro superiore agli 8mm

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Di peso non "esagerato" (parametro mai specificato)

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Robusto ed affidabile

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Agile, che permettesse una manipolazione rapida e repentini cambi di traiettoria nell'uso

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Un fodero multifunzione decente ed omologato alle operazioni di lancio con il paracadute

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Finitura tattica anti-riflesso

Con queste considerazioni di base (e molto logiche) in mente, più altre sviluppate autonomamente nell'esaminare i possibili usi, ci mettemmo sull'intramontabile foglio di carta e matita (AutoCAD l'avremmo usato due mesetti dopo circa...).

Producemmo letteralmente decine di disegni diversi che per un motivo o per l'altro ci ricordavano "qualcosa di già visto". Nel mondo dei coltelli è davvero difficile fare qualcosa di davvero "originale" se non si assumono sostanze stupefacenti e poi si creano "le cose" di Gil Hibben ;-) (Perdonatemi Mr. Hibben, sono io che non sono in grado di apprezzare le Vostre Opere!!!). Il mio collega si ostinò a produrre dei coltello con delle punte TANTO bellissime ed inquietanti... E a mio avviso fragilissime! Realizzammo i primi prototipi passando i disegni dalla carta ad AutoCAD e poi portando i files da un paziente artigiano che una macchina utensile a controllo numerico pilotata dal PC tagliò al laser i primi coltelli. Il materiale non era quello definitivo, anzi, per motivi economici questi "bozzetti tridimensionali" furono realizzati con un ferraccio così "a buon mercato" che iniziarono ad ossidarsi dopo qualche ora! Però fu essenziale per capire il bilanciamento degli attrezzi ed il feeling che avevano a tenerli in mano.

Perchè un'impugnatura con il paracord (Nylon per cavi di paracadute militari)? Nelle varie fasi di sviluppo incontrammo difficoltà non trascurabili a trovare ditte che per così pochi pezzi di coltelli (un centinaio circa) procurassero il materiale giusto (cercavamo qualcosa di equivalente al Kraton oppure al G10). Cuoio e legno vano bene per i coltelli da vetrina. Andate a chiedere il perchè ai soldati della WWII e del Vietnam con i loro Kabar e SOG. Così dicemmo in giro che il nostro coltello era  un omaggio agli STRIDER (tanto apprezzati). Per quanto, a tutt'oggi, sia noi e sia chi utilizza il nostro coltello sia soddisfatto della soluzione PARACORD, la scelta di quest'ultimo è stata dettata dalla difficoltà di realizzare le guancette di questo coltello. Di necessità si fa virtù: Ci sono 190cm di robusta paracord in ogni coltello, che possono sempre servire sul campo (al contrario di quella di STRIDER che è talmente annodata, trattata chimicamente per irrigidirla, che risulta non utilizzabile sul campo se ci dovesse servire, nonostante affermino il contrario).

Come avvenne la scelta della forma del coltello? Sinceramente non riuscimmo ad accordarci subito io ed il mio collega: io ero un fermo sostenitore della punta spearpoint con parziale controfilo, lui della tanto. Così mettemmo su carta tutti design "più puliti" che avevamo prodotto e li piazzammo sulla scrivania del capo (che fino a quel momento ci aveva dato carta bianca totale e a dire il vero nemmeno aveva voglia di sbattere la zucca su di un progetto simile). Da una sua decisione si sarebbe decisa quale direzione prendere per la forma del coltello. Il capo arrivò in ufficio, si sedette, passò i fogli con una velocità prossima al mezzo secondo per foglio ed indicò un mio design spearpoint come coltello decente. Mi ridiede indietro il foglio disegnando sull'estremità posteriore dell'impugnatura un cerchio con la parte finale un rettangolo. Da lì a pochi minuti assistetti alla creazione di una dei ragionamenti più complicati inerenti allo sviluppo delle caratteristiche di multifunzionalità di un coltello militare. Al capo venne in mente di utilizzare lo spazio tra codolo ed impugnatura per ricavare con un taglio al laser una "chiave specifica per smontare lo spegnifiamma delle carabine M4 per attuare il montaggio rapido sul campo dei silenziatori". E' la prima volta che sentii della necessità sul campo di un attrezzo del genere, ed è la prima volta in assoluto che viene divulgato questo dettaglio in forma pubblica attraverso questo sito. Se un giorno una ditta che fabbrica "attrezzi" per i Reparti Speciali uscirà con un coltellino svizzero con dentro lo "svita-spegnifiamma per M4" so per certo che avrà letto questa pagina :-)

Il disegno del nostro primo prototipo di coltello

I prototipi in ferro

L'idea durò lo spazio di qualche settimana, prima che qualcuno con le stellette dicesse al capo che l'idea era di un'inutilità inaudita, e che il coltello era davvero brutto con quel "buco" sul codolo. L'idea però di mettere qualche attrezzino incorporato nel corpo monolitico del coltello non era male, quindi ci ingegnammo a trovare qualche soluzione. La più divertente fu quella di trasformare la punta dei rami di guardia del coltello in punte di cacciavite! La superiore divenne una punta Phillips media (cacciavite a croce tipico), la seconda (inferiore) a lama. Anche qui venne fatto un solo prototipo per poi capire che:

  1. Le guardie risultavano così "affilate" e pericolose per chi maneggiava il coltello

  2. Sull'arma d'ordinanza (M4) non c'erano viti di quel tipo e di certo non usavo un coltello del genere per svitare le viti di qualsiasi altra cosa (chessò, un PC ad esempio che abbonda di viti Phillips)

  3. Era ridicolo da vedere come poche cose al mondo

 Così decidemmo solo d'integrare nel codolo il classico "spacca teste" (fortemente voluto da noi designer), il buco del cordino (non esiste coltello senza!) e la feritoia spacca reticolati (apprezzatissima appena fu fatta vedere in giro). Il coltello, che al momento aveva il nome provvisorio CF2 (dalle iniziali cognome/nome mie e e del mio collega che coincidono), era praticamente pronto... Ma non diceva nulla. Era un coltellone come altre centinaia sul mercato... Eravamo davvero avviliti dalla cosa. La concorrenza stava sfornando prototipi ad acciaio reale come un forno del panettiere, e noi avevamo solo un pezzettone di ferro che si arrugginiva se stava troppo all'aria con un design molto molto... "già visto".

Una sera, dopo l'ennesimo summit sul design del coltello, il mio collega venne folgorato da un'idea. Lo capii quando lo vidi prendere un pezzo di carta e disegnare come un pazzo con una BIC nera. Lì per lì non capii cosa stavano disegnando sul foglio quelle curve che s'intrecciavano. Poi improvvisamente vidi, finalmente. Geniale. Non avevo parole particolari se non continuare ad annuire ogni volta che lui, una volta finito il disegno, m'illustrava  perchè aveva scelto quella soluzione. Non avevo bisogno di spiegazioni, avevo già capito tutto e subito. Guardie sfalsata in orizzontale per un'ergonomia superiore. Finalmente il coltello aveva una sua "personalità", che lo distingueva da tutti gli altri coltelli in commercio (questa soluzione, nemmeno così "accentuata", l'abbiamo rivista mesi dopo su di uno STRIDER Mark I, ma sinceramente in giro non c'è coltello con design uguale al nostro).

GUARDIA SFALSATA/ASIMMETRICA

"Ergo-grip" o "Ergo-Hilt". Chiamatela come volete. Se avete letto le altre sezioni di questo sito, oppure se avete letto qualche libro sul combattimento sul coltello, oppure ancora perchè lo sapete per conto vostro e basta, in combattimento la tendenza attuale è quella d'impugnare il coltello con il pollice steso lungo il dorso del coltello stesso.  Il perchè lo andate a leggere in questa sezione. Tutti i coltelli "da combattimento" non ci permettono questa presa con il pollice rilassato. Il pollice FA MALE/DA FASTIDIO quando impatta contro la guardia del coltello. Ma non tanto perchè stiamo stoccando qualcuno/qualcosa di duro, ma sempre. Anche quando usiamo il coltello per comuni lavori e siamo abituati alla "sabre grip". Per ovviare a questo inconveniente (ma anche per altri motivi) c'è chi insegna ad impugnare i coltelli con le guardie ruotate di 90° rispetto alla presa "normale" (ovvero le guardie parallele al terreno quando la punta del coltello è anch'essa orizzontale/parallela al terreno), la cosiddetta scuola italiana di daga. Quindi, i costruttori di coltelli (pochissimi di essi sono veri utilizzatori pesanti di coltelli, e ancor meno artisti marziali) per evitare la cosa fanno coltelli senza guardia; ma per svariati motivi un coltello senza guardia non è molto "sicuro" in certe situazioni. Sicuramente questa soluzione distrugge molto il concetto di simmetria, di perfezione, che spesso assilla i coltellinai. Prendiamo come esempio l'ergonomia del GERBER MARK II, la daga da combattimento moderna più bella (a mio personale parere) mai realizzata. Se la lama è un esempio totale di pulizia del design, di bellezza e funzionalità orientata ad un uso ben preciso, l'impugnatura -ma soprattutto le guardie- sono un esempio di quanto poco sia stato dedicato il design per la "sabre grip". Questo coltello non è nato per questa presa. Peccato che chi lo possiede (tantissime persone in tutto il mondo) si ostinano ad impugnarlo in "sabre grip", perchè è "il modo d'impugnarlo per il combattimento". Uno dei pochissimi coltelli famosi dotato di guardia che "facilita" la "sabre grip" è l'Applegate-Fairbarn lama fissa prodotto dalla Boker. Per tutti gli altri in commercio il problema c'è  e resta (senza nulla togliere al fatto che sul mercato ci sono coltelli di eccellente qualità e design superlativi).

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Presa Sub-hilt
La presa che permette di trattenere in maniera salda il coltello in mano

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"Sabre Grip"
La posizione distesa del pollice ha numerosi vantaggi

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Presa "reverse" 
notare come la "ergo-hilt" segue il profilo della mano

Le prime prove "tridimensionali" di questo concetto di guardie asimmetriche è stato testato con modelli in cartone (funzionabilissimi per simulare i coltelli monolitici :-)) e poi con un modello accurato in plexiglass. L'istinto di impugnare il coltelli in presa "sub-hilt" fu istantaneo appena prendemmo in mano il modello in plexiglass. Vennero fatto quindi delle modifiche al disegno per includere uno scasso raccordato appena dietro la seghettatura finale della lama per farci passare agevolmente il dito indice. Questo modello fu mostrato a poche persone, e più che altro cercammo gente con le dimensioni delle mani più differenti possibili fra loro. Facemmo impugnare il coltello a persone con mani molto piccole (come quelle di chi sta scrivendo) a veri a propri giganti umani con un indice che potrebbe benissimo avere le dimensioni di un alluce medio di una persona adulta... ;-) I commenti furono i più svariati, ma sostanzialmente tutti positivi ed incoraggianti.

I PRIMI PROTOTIPI FINALI

Nel mentre prendemmo contatti con una ditta coltelli di Maniago (tanto sanno tutti di chi stiamo parlando), ed iniziammo le trattative tecniche del caso per una produzione limitatissima -per gli standard attuali di mercato- di coltelli.

Se vi dicessi che a tutt'oggi (luglio 2003) non abbiamo mai visto in faccia la persona che ci ha realizzato fisicamente il coltello? La produzione del coltello è stata una concertazione di telefonate, email e fax dove suggerimenti, files e schemi tecnici si sono scambiati fino a che non furono prodotti 5 prototipi in varie finiture che mettemmo "sotto torchio" per i "killing tests" del caso. Questo coltello è figlio di molti padri. Noi due dal punto di vista del design di cui deteniamo i diritti, poi a Maniago di almeno altri sette/otto artigiani diversi, ognuno specializzato nel suo settore. Magari siete convinti che le grandi ditte produttrici di coltelli in Italia (che a mio avviso siamo leader a livello mondiale per tante categorie di coltelli) facciano tutto in casa, a partire dalla tempra alle affilatura, giusto? Sbagliato. L'economia di Maniago si basa su di una piccola selva organizzatissima di artigiani che si conoscono tra di loro che lavorano incessantemente per la produzione di vari coltelli ognuno specializzato in qualcosa, ovvero in una fase ben specifica di finitura di un coltello. C'è l'artigiano che cura soltanto il processo di tempra delle lame dei coltelli, e lo fa per tutte le ditte (o quasi) di coltelleria di Maniago. C'è quello che fa le seghettature, e lo fa per tutti i coltelli progettati a Maniago. Mai chiesti perchè la seghettatura che c'è sul nostro coltello è identica ad almeno altri sei modelli notissimi di coltelli italiani? Poi c'è quello che cura la finitura esterna, quello che fa le sabbiature, c'è quello che fa i tagli al laser... Insomma, questi artigiani, se non fossero delle persone serissime ed in gamba (come sono effettivamente) distruggerebbero il mercato nazionale del coltello in un attimo se fossero degli "spioni". Infatti il nostro coltello, del cui design eravamo abbastanza "gelosi" nei mesi antecedenti alla presentazione pubblica, è passato attraverso N ditte di artigiani per le varie fasi di lavorazione. Nello stesso istante, nella stessa ditta, c'erano, e stavano prendendo forma sicuramente, i "progetti segreti" delle altre marche di coltellerie italiana. Il rischio che il nostro coltello/prototipo fosse "notato" da qualche designer di altre ditte era più che un semplice sospetto. La conferma ci fu data da una simpatica situazione che si è creata a EXA 2003 (nota fiera d'esposizione di armi&accessori a livello Europeo che si tiene tutti gli anni a  Brescia), ma di questo parlerò dopo più dettagliatamente. Con tutte le rassicurazioni del caso accettammo lo stesso il sistema di sviluppo a "catena di montaggio" tra varie dittarelle del Maniaghese, anche perchè, parliamoci chiaro, non c'era nessun'altra possibilità. I prototipi vennero realizzati a tempo di record in Acciaio 440C con una tempra artigianale criogenica che garantiva ottime caratteristiche di tenacità ed elasticità. L'ultima cosa che volevamo era un coltello rigido come il vetro. I test che i militari avevano fatto sui modelli precedenti presentati dalla concorrenza finirono tutti per spezzare i coltelli, che risultavano troppo rigidi/fragili a causa dell'elevato grado Rockwell di durezza. Un coltello che di stoccata buca svariate lamiere di acciaio è interessante da vedere, ma se lo usiamo per un banale taglio di un pezzo di legno e mi si spezza in due come se fosse cristallo... Non è molto utile. Il nostro valore Rockwell si attesta intorno ad un "semi-morbido" 57. Filo tagliente, ma facile anche da ravvivare con una semplice pietra (e non macchinari al diamante).

"KILLING TESTs"

Iniziammo i test. Quello che volevamo fare era documentare il più possibile il comportamento sul campo del coltello, al momento non pensammo nemmeno di produrre della documentazione per la stampa specializzata, volevamo semplicemente "immortalare" l'eventuale momento della "rottura della lama" per analizzare più possibili le cause e porvi rimedio. Insomma, quel giorno eravamo moderatamente motivati a rompere per forza il coltello. Attenzione: qualsiasi coltello si può rompere. Basta adoperarlo per uno scopo per cui non è stato progettato (ad es. come piede di porco). Quindi, la nostra idea era tentare di spezzare i nostri prototipi con situazioni d'impiego compatibili con lo strumento "coltello", ma un po' esasperate. Prima prova: ergonomia. Un coltello dev'essere comodo da impugnare, deve darci la sensazione di "stare bene in mano". Conosco gente che trova qualcosa di erotico nei coltelli che si lasciano "prendere bene" in mano. Adesso, discorsi da collezionisti/esauriti/onanisti a parte, un coltello che che una volta preso in mano ci gratifica con una bella presa salda e comoda, è una sicurezza in più nel suo maneggio. Non tutti abbiamo le mani uguali, ovvio. Io, come ho già detto, ho le mani piccole  e mi trovo bene con i seguenti coltelli a lama fissa (i coltelli chiudibili sono un altro discorso) ad esempio: Cold Steel SRK, BOKER Applegate-Fairbarn, Cold Steel OSS e UWK, United Elite Force, Lainhart NAVY SEALs... Con questi coltelli so che posso tenerli in mano saldamente ed usarli in continuazione senza stancare troppo la mano (si, tutti i miei coltelli sono stati usati per qualcosa, nella mia collezione non ho coltelli con la finitura intatta). Quindi primo parametro: sta in mano bene i primi secondi, ma dopo qualche minuti di uso tipo accetta? Trovammo due massicci travicelli di legno con un diametro di circa 25 cm provenienti da una casa di campagna. Verificammo il filo prima della prova, poi iniziammo. TAC... TAC... TAC... Guanti antitaglio e protezione per gli occhi e via di buon ritmo con l'obbiettivo di tagliare in due i travicelli. I coltelli erano nella situazione più svantaggiosa possibile: non avevano il paracord intorno all'impugnatura, per simulare una situazione tattica molto sfortunata. Entrambi ci arrivammo in fondo, con tempi diversi dettati dal fatto della forza fisica diversa che c'e tra me ed il mio collega. Comunque in un caso 21 minuti di continuo uso a mo' di accetta del coltello. Vorrei ricordare che NON tutti i coltelli sono adatti per questo uso. Le marche più oneste di coltelli avvertono esplicitamente (per motivi legali, ovvio) se il loro prodotto o meno è adatto ad un uso pesante tipo accetta. Un esempio clamoroso è il costoso MARK V della Master of Defense. 500 e passa € di coltello ultra-aggressivo, massivo e iper-mega-tecnologico per leggere sulla documentazione allegata che è vivamente sconsigliato l'azione di "heavy chopping". Beh, nelle vetrinette di un collezionista fa sempre la sua figura. Torniamo ai nostri prototipi. Dopo il quinto minuto le vibrazioni trasmesse dall'impatto della lama sul legno si fecero sentire bene, ma non furono nulla di drammatico, nonostante la massa battente non erculea, il coltello si faceva strada molto bene nella massa legnosa. Alla fine delle prove il coltello con la finitura grigia con vernice opacizzante aveva subito solo dei danni "cosmetici" (la vernice era andata via alla grande, staccata a grandi placche). Quello nero aveva assunto quell'aria di coltello che aveva visto una brutta battaglia, ma l'aveva vinta: anche qui tutta la finitura nera anti-riflesso era scomparsa disordinatamente nelle vicinanze del filo, ma non si era staccata a placche come nell'altro coltello. Prova del filo per entrambi i coltelli. Tagliava ancora decentemente: aveva retto bene alla prova. Seconda prova: resistenza della punta. Tavoletta di legno abbastanza stagionato (ma non troppo) assicurata ad un piano saldamente e con un colpo ben assestato piantiamo la punta del coltello dentro nel senso delle fibre legnose. Ottima penetrazione. Con due mani si prende l'estremità del codolo del coltello a lo si tira bruscamente di lato con un angolo di 90° rispetto al piano d'appoggio. Tanti coltelli, anche famosi, dotati di punte TANTO o CLIP POINT un po' troppo esasperate a questo punto fanno CRACK. Il nostro coltello non fece CRACK, e asportò una bella porzione di legno nel sollevare la punta, che rimase intatta. Sinceramente sconsiglio di fare questa prova con i vostri coltelli, il rischio di rovinare la punta è molto alto.
Le nostre intenzioni erano quelle di spezzare la punta, o almeno, di capire effettivamente in che maniera poteva subire un danno apprezzabile. Un altro sistema ottimo per rovinare un coltello è usarlo come coltello da lancio, specialmente se non è stato progettato per questo uso specifico. Bersaglio di legno (il solito travicello) e via con i lanci. Lanciare un coltello è un'attività che a mio avviso è estremamente di soddisfazione. Quel rumore secco quando impatta e "congela" istantaneamente il coltello nella sua posizione sul bersaglio è qualcosa di  incantevole. Certo... Quando si è bravi però... Il sottoscritto è un pessimo lanciatore di coltelli, che ha anche speso i suoi soldi in coltelli specifici da lancio, ma guai se riesce ad andare oltre il 75% di coltelli ben piantati sul bersaglio, e neanche nel punto preciso che si vuole... A parte questi dettagli che magari potevano simulare una situazione più stressante per il coltello (non fa bene andare fuori bersaglio e rimbalzare sul terreno...). Per motivi di design/equilibrio delle masse che a tutt'oggi non capiamo ancora bene, il nostro SP1-K è un superbo coltello da lancio. Non è stato progettato per quest'attività, lo ripetiamo, ma si comporta davvero bene. Qualche volta si piantò sul bersaglio anche di codolo/skullcrasher! A parità di distanza valutammo l'angolo d'impatto rispetto ad un coltello specifico da lancio. Il risultato su numerosi tiri fu che il nostro SP1-K "perdonava" molto di più le insicurezze tecniche del lancio da parte nostra andandosi a piantare nel bersaglio molte più volte rispetto al coltello speciale da lancio. Verifica punta: si, in effetti, dopo una trentina di lanci (e non tutti a buon fine sul bersaglio...) la punta aveva perso "mordente", ma era ancora in grado perforare il prossimo bersaglio: lo scaldabagno. Non mi ricordo perchè abbiamo iniziato a percuotere il bordo dello scaldabagno, dopo che la prova di penetrazione era andata decentemente (infatti un minimo di danno alla punta nel perforare gli strati di lamiera dello scaldabagno apparvero, ma nulla di irreparabile con una buona affilatura). Semplicemente iniziammo per scherzo, sicuri che il coltello si sarebbe spezzato e invece... CLANG! CLANG! CLANG! Un suono fastidiosissimo, tipico quando dei pezzi di acciaio sbattono maldestramente uno contro l'altro. Si andò avanti così per mezzo minuto buono e poi verificammo il filo del coltello. Ovviamente intaccato, ma anche qui convinti che con una buona operazione di riaffilatura sarebbe tornato operativo. In compenso il bordo dello scaldabagno era piuttosto rovinato. Prova idiota, un po' come quelli che si divertono a testare coltelli costosissimi percotendoli su dei mattoni di cemento finchè non si rompono... Nessuno avrà mai la necessità di compiere una simile azione; però rende bene l'idea di quanto la tempra dell'acciaio sia di buona qualità: un coltello con un grado Rockwell superiore sarebbe andato a pezzi sicuramente.
Riaffilatura. Prendemmo un pietrone piatto da fiume, piuttosto ruvido, ed iniziammo l'operazione di ridare vita al filo dopo le "torture" della giornata. I risultati furono abbastanza soddisfacenti: il coltello aveva riniziato a tagliare decentemente. Sicuramente, però, un buon arrotino avrebbe ridato al filo del coltello un look più "raffinato". Per fare una foto un po' diversa dal solito per testare lo "skull-crasher", piazzammo un mattone forato su di un ceppo di legno e ci piantammo sopra una bella percussione secca. Il risultato è nella foto. A dire il vero non è che sia una cosa molto importante: qualsiasi coltello con un codolo pieno riesce a fare lo stesso danno.
Abbastanza soddisfatti di queste prove "dinamiche", passammo a quella della resistenza alla corrosione. Sapevamo che l'acciaio 440C era quello della famiglia 440 più resistente alla ruggine. La sua resistenza all'ossidazione è relativamente elevata, sicuramente è sorpassata dagli acciai di più recente sintesi, quali l'ATS34/55 e lo N690. Ovviamente il punto debole per l'ossidazione in un coltello è il filo. Lo strato superficiale di molibdeno e altri componenti che mal si legano con l'ossigeno -e di fatto proteggono l'acciaio dal formarsi della ruggine- sono concentrati essenzialmente nei primi strati molecolari dell'acciaio. Asportando il materiale per la modellazione del filo di fatto si espone l'acciaio "non protetto" all'azione dell'ossigeno. Quindi, se si deve formare della ruggine su di un coltello, ovviamente l'inizio del processo avviene dal filo. Piazzammo in nostro coltello per una settimana, che già aveva subìto i trattamenti descritti sopra, in un sistema di desalinizzazione dell'acqua che periodicamente si svuotava per circa 30 minuti al giorno. I risultati furono incoraggianti, come si vede dalla foto. La ruggine, comprensibilmente, si formò solo limitatamente a macchiette, e nei punti più sollecitati del filo.

Prova di sollecitazione meccanica:

Ultima prova da documentare. Di solito è normale vedere coltelli a lama fissa di un po' tutte le marche piantati da qualche parte e poi usati come scalino momentaneamente. La classica prova che operativamente non serve a niente, però è abbastanza impressionante da vedere (specie quando il coltello sembra deformarsi in maniera visibile). Sempre convinti nel voler spezzare in due il coltello, elaborammo qualcosa di un po' più complicato. Assicurammo con un sistema oltremodo complesso il coltello a sbalzo sulle forche di un muletto. Per simulare la situazione più sfortunata possibile solo 1/3 del coltello era assicurato alle forche, i restanti 2/3 avrebbero dovuto sostenere una corda a cui si sarebbe aggrappato il mio collega di 80Kg. Con le dovute precauzioni del caso (tipo indossare un elmetto con relativa visiera a protezione balistica), si procedette alla prova. Il mio collega rimase sospeso qualche secondo, anche ballonzolando vistosamente, generando delle deformazioni percepibili ella lama. Stavolta eravamo sicuri che la lama si spezzasse sul serio. Nulla di tutto questo. Il coltello dimostrò di essere stato realizzato in un acciaio che aveva subìto una tempra eccezionale, che gli dava un certo grado di elasticità. Non male: non mi sono simpatici i coltelli rigidi "come dei pezzi di vetro".

 

Lo spessore della lama

Lo SP1K ha sopportato lo stress delle prove nonostante abbia uno spessore di "soli" 5mm. Strider ci abitua a coltelli da 8mm. Il boss ha seriamente minacciato di bloccare la produzione del coltello se non si fosse riusciti a produrre il modello finale con uno spessore di almeno 7,5mm. A parte i costi maggiori che ciò avrebbe comportato, si presentarono anche problemi di approvvigionamento in Italia di lastre dell'acciaio adatto in quello spessore, per così pochi esemplari. Se lo SP1K fosse uscito in 1000 esemplari probabilmente avremmo potuto farlo anche di 9mm di spessore in qualche lega esotica di acciaio sperimentale... Confortati da fatto che aveva passato così bene i "killing test", e dal fatto che per l'uso per cui era stato progettato 5mm bastavano, riuscimmo a dare il via alla produzione finale lo stesso. Il boss, però, si convinse soltanto quando un giorno arrivò in ditta un distinto signore tedesco che proveniva dalla famosa Solingen (una specie di Maniago teutonica) che si diverte a realizzare neck-knives artigianali e costosissimi. Un furbone che spaccia per coltelli da difesa delle lamette di 3cm di lunghezza.
Ovviamente il capo gli mostra immediatamente il nostro iper-prototipo segreto (tanto doveva restare segreto, no?). Il tizio se lo gioca un po' in mano e fa i complimenti per il design esclusivo ed ergonomico.  Il boss s'affretta subito a dire che il prototipo finale verrà fatto con uno spessore di lama  di 7,5mm. Il tedesco lo guarda in faccia, guarda il coltello, e poi esclama: "Perchè!?". Il capo non seppe rispondere a questa semplice domanda mentre io ed il mio collega esplodavamo in una fragorosa risata. :-)

Sul Mercato

Un filosofo greco, se non sbaglio, disse: "Dare il nome a una cosa significa dargli un'anima". E' vero. Trovare il nome a questo coltello fu una cosa semplice, e allo stesso tempo complessa. Molti coltelli in commercio uniscono ad un design stupendo anche dei nomi che davvero rendono lo spirito della lama stessa. Nel commercio il nome di un prodotto è una scelta strategica. Sul momento ne cercammo di tutti i tipi, ovviamente pescando sempre dal repertorio della lingua inglese (cosa su cui non sempre sono d'accordo), ma in effetti bene o male cadevamo sempre su qualcosa di già "sentito". Così, in totale autonomia, decidemmo di dare a questa lama un nome che più rispecchiasse il nostro modo di pensare. Per la prima volta verrà spiegato l'origine ufficiale del nome di questo coltello, ed il perchè sulle riviste, da un mese all'altro è stato cambiato.

Nell'azienda per cui abbiamo collaborato l'offesa finale da dare ad una persona, specialmente se l'offesa è pronunciata dal boss stesso, è dare "del pinguino". Pinguini, noti animali dell'Antartide, hanno un modo di fare abbastanza "imbranato". Per quanto siano ritenuti animali intelligenti e socialmente molto evoluti, essi impersonano (sempre e solo agli occhi del boss della ditta) l'incarnazione dell'idiota e del goffo maldestro. Si, ci siamo presi del "pinguino" in faccia più di una volta. Il nome del coltello iniziale fu Kormoran II (già volevamo farlo in due dimensioni diverse), il noto uccello predatore che vive ammazzando i pinguini appena nati oppure  ne mangia le uova. Il nome, di per sè stesso, non aveva alcun senso, tranne per noi che lo avevamo coniato, ma non suonava nemmeno malissimo. La prima recensione ufficiale del coltello con questo nome fu sulla rivista COLTELLI. Quando il boss lesse il nome a carattere cubitali sulle pagine della rivista ho rischiato abbastanza grosso, anche perchè anche lui aveva fatto istantaneamente i collegamenti pinguini/Kormorani e relativi ragionamenti della catena alimentare dell'Artico. Dovetti trovare all'istante un nuovo nome mentre il boss mi copriva d'insulti... Uscii con un poco convinto "SP1K". Gli piacque, ma  mi chiese immediatamente cosa la sigla significasse. Risposi "Special Project 1 K". E la ebbi vinta. In realtà, in cuor mio, quella sigla significa: "Sbudella Pinguini 1 Kormoran" ;-) . Per chi possiede il coltello, e per chi ha chiesto insistentemente cose significa il nome, e a cui non si è mai potuto rispondere per motivi di decenza, ora è accontentato.

 

Il Fodero

Siamo in ottimi contatti con la ditta americana del Montana Eagle Industries Unlimited, famosa in tutto il mondo (e protagonista di tutti i film d'azione militari con i suoi articoli) per la produzione di eccellenti soluzioni di buffetteria militare realizzate in robusta Cordura di Nylon. Sapevamo già che nel loro repertorio avevano sviluppato un modello di fodero per coltelli tattici con tutti i requisiti da noi richiesti: il modello KS-D. Realizzato in Cordura di Nylon 1000 denari (resistentissima all'abrasione e non si deteriora in nessuna maniera a causa di agenti biologici e chimici) e dotato di ben tre sistemi di ritenzione, per rispondere totalmente al requisito delle truppe aviotrasportate. Caratterizzato da un nucleo che circonda la lama in Kydex rivestito internamente di pelle sintetica, per pulire/proteggere la finitura della lama, e da una generosa tasca anteriore in grado di ospitare una torcia tattica militare classe SUREFIRE M2 insieme alla pietruzza per riaffilare. Una ditta seria, ultra-professionale, e che lavora ancora a mano in certe sequenze della produzione, per garantire prodotti curati e testati al 100%.
Peccato che si siano scordati realizzarci il fodero per 4 mesi. Per tutti coloro che hanno aspettato fin troppi mesi per avere lo SP1K, la colpa è solo di questa ditta che ha un "production team" un po' sbadato nella gestione degli ordini.
Ma alla fine realizzarono un fodero davvero degno di questo nome. Senza timor di smentita, penso che chi abbia toccato con mano il fodero, concordi sul fatto che è davvero bello e ben progettato.

Il futuro?

Lo SP1K non ha futuro. Ne sono stati realizzati 101 esemplari marchiati al laser, più un totale di altri sette non marchiati, di cui due sono presso il Reparto di valutazione iniziale (di cui non abbiamo più saputo nulla), e un'altro è disperso non si sa dove in Toscana. Tutti gli altri marchiati, trentuno neri ed i rimanenti in finitura grigia, sono andati in giro in po' in tutt'Italia, con una certa preponderanza degli ordini dal meridione/isole.

Sicuramente chi lo ha acquistato ha in collezione un oggetto esclusivo garantito che ogni anno aumenterà di valore.

Riprendere la produzione?
Difficilmente (anzi impossibile) che un Reparto faccia un ordine di questo coltello, in quanto tutti si stanno affrettando ad attrezzarsi con il coltello che ha vinto la virtuale "gara" come primo coltello moderno  ufficiale di un reparto Speciale italiano. Se il design verrà scopiazzato da qualche dittarella taiwanese la cosa non può che farci piacere: di solito si copia quello che è valido. Ma se a partire dal 2004 riprenderà la produzione e non avrà le seguenti caratteristiche:

-Nuova numerazione a QUATTRO cifre (0001 0002 etc...) -la versione 2003 aveva TRE cifre-
-Un foglio allegato firmato riportante i nomi dei due designer: Francesco Cotti e Fulvio Cenci

Si tratta semplicemente di riproduzioni non autorizzate da noi designer, quindi frutto solo di un'opportunistica operazione di mercato. IN tal caso chiediamo di non acquistarli.

Lo SP1K ha già un fratello (Il Famoso Kormoran I), di cui ne è stato realizzato un prototipo definitivo nella primavera del 2003. E' una specie di mini Kukri con tante idee interessanti sopra. Purtroppo questo coltello non vedrà mai la produzione in serie, in quanto stavolta a Maniago si rifiutano di rimettere in sesto tutto il circo degli artigiani per "solo" cento esemplari.

Che dire alla fine di questa esperienza, sicuramente positiva per molti aspetti?
Il mondo dei coltelli è un mondo intimo e personale. Ognuno può dire la sua e avere praticamente sempre ragione, basta che il coltello che vuole promuovere come "migliore per un tale scopo"  tagli. Con tutte le chiaccherate che abbiamo avuto con i signori dei Reparti Speciali, è emerso un pò di tutto. Chi gli basta un Kabar arruginito, basta che buchi ancora e tagli un pochino ("tanto il coltello non si usa mai", ha addirittura detto qualcuno!) , chi gira con quello a lama fissa, il backup a daghetta sempre a lama fissa, il chiudibile tattico di marca e per finire la pinza multiuso full-size... Poi c'è quello che chiede se il tal coltello lo usano i NAVY SEALs (e chi lo chiede è uno "Speciale" di casa nostra), altrimenti non lo porta con sè. Ho parlato con quello che per fare gli schizzi del suo coltello ideale disegnava sulla carta da quaderno a righe con la biro facendo bellissimi disegni di coltelli, ma non più lunghi di 4 cm!!! E vedendoli meglio era tutta la collezione Strider... C'è quello che si diverte a spaccare i coltelli apposta per poi andarseli a fare cambiare di nuovo dicendo che non valgono nulla...
Una mezza soddisfazione, alla fine di tutto questo: un sottufficiale che dovrebbe valutare il materiale del famoso Reparto Speciale, un giorno ha preso in mano il nostro coltello di produzione di serie. Lo ha soppesato, lo ha manipolato un po', lo ha stretto bene in mano. Si è voltato verso di noi e ha detto: <<Vabè, poi ne parliamo, eh?>>. Quindi si è preso su un fodero ed un coltello dei nostri con finitura grigia  e se ne è andato borbottando qualcosa del fatto che un coltello decente si deve piantare dentro ad un bue appeso... Attendiamo ancora fiduciosi di essere convocati da lui. :-)

 

 

 

 

La foto pubblicitaria ufficiale dello SP1K

Il nostro SP1K/Kormoran II è in copertina della rivista COLTELLI di Febbraio/Marzo 2003

 

Il coltello da combattimento E.R. "Col Moschin"

 

    Dopo quasi tre anni dalla pubblicazione del mio articolo "genesi di un coltello da combattimento", ecco che all'inizio del 2006 mi arriva un'email piuttosto "energica" a commento di esso. Non era la prima email di commento, per carità… Fino a quel momento avevo ricevuto decine decine di email, molte di elogio per aver divulgato certi dettagli che stanno dietro ad un progetto di questo tipo, qualcuna di critiche, anche feroci (da parte di militari di carriera piú che altro). L'email che ricevetti, però era ben diversa da tutte le precedenti. Era stata scritta dal designer del coltello del "famoso Reparto Speciale": il Maggiore "Fonty". Per chi ha presente le riviste di coltelleria del 2004, sa di chi sto parlando. Allora,all'epoca degli articoli, aveva il grado di Capitano. "Fonty" è un soprannome, un callsign, che deriva dal suo cognome (finchè resta in servizio attivo non é divulgabile). L'email che ricevetti da lui fu letteralmente una scossa elettrica, una formale richiesta di spiegazioni di come mai mi ero permesso di descrivere con cosí tanta dovizia di elementi la nascita di un coltello che coinvolgeva anche ciò che sarebbe diventato il coltello del Reggimento Paracadutisti d'Assalto "Col Moschin". Risposi, non con poca soddisfazione, in maniera completa al Magg. Fonty. Una volta fatta luce sulla mia completa buona fede su quanto avevo pubblicato sul sito, ricevetti un invito ad incontrarlo a Livorno per discutere dell'articolo, e non solo, a quattr'occhi.

 

Incontrando il Designer del "Col Moschin"

 

Incontriamo (io e Fulvio) il Magg. Fonty nella caserma Vannucci in via dell'Ardenza a Livorno. Fonty non è un giovane Incursore, ma fa parte della gloriosa "Vecchia Guardia" del Reggimento, ed era gia' effettivo durante l'ITALCON in Libano, più di vent'anni orsono. I capelli, tagliati nella miglior tradizione militare, sono grigi,  ma il modo di fare ed il fisico sono ancora asciutti e vibranti, con la tipica stretta di mano sicura ed energica degli operatori del Reggimento. La strip col nome sulla sua uniforme riporta Fonty, e non il suo vero cognome.

 

Nella miglior tradizione italiana ci avviamo verso una piccola trattoria, e davanti ad un antipasto iniziamo a discutere di coltelli, Arti Marziali e non solo.

Fonty non ricopre più ruoli operativi all'interno del Reggimento, é bensì a capo di un

 importante settore di esso. Ma tutt'oggi continua a frequentare le esercitazioni per mantenere i suoi brevetti maturati nella sua lunga carriera nel "Col Moschin". Fonty è ovviamente un maturo Artista Marziale con due decenni di esperienza nelle Arti Marziali giapponesi del Tai Jitsu e specializzato in Ninjitsu. Insegna in un suo Dojo "nelle vicinanze di Livorno". Ovviamente negli anni ha frequentato, qualificandosi in maniera eccellente, i vari corsi di difesa personale dell'Esercito, sorpassando in graduatoria candidati ben più giovani di lui. "L'esperienza ed un pizzico di fortuna" commenta modestamente.

 

La verita' dietro il "Col Moschin"

 

Perché è stato scelto Fonty per disegnare il "Col Moschin"? Fonty  è davvero il designer di questo coltello? Posso dire soltanto che la piacevole chiaccherata con il Magg. Fonty è durata più di quattro ore, e l'argomento è stato totalmente sviscerato. Non posso pubblicare tutti i dettagli emersi nella discussione, perché dovrei chiedere il permesso di pubblicare i nomi di un po' troppe persone coinvolte, ma posso affermare che il progetto del "Col Moschin" non è stato facile da gestire per Fonty, ed è stato caratterizzato da molti momenti di "luci ed ombre". Uno dei motivi per cui il "Col Moschin" non avrá seguito come produzione, perlomeno di nuovo seguita da Fonty.

Fonty è stato designato consulente del progetto in virtù delle sue rispettate conoscenze nelle Arti Marziali, nonché per la sua nota passione per le armi bianche in genere.

 

IL COLTELLO

 

Ho avuto la possibilità di poter valutare personalmente il coltello dato agli operatori del Reggimento, che presenta alcune differenze con la versione civile in commercio: la mancanza dell'incisione con lo stemma del "IX Col Moschin" e la presenza del doppio filo.

 

La primissima cosa che balza all'occhio sono le dimensioni. Il "Col Moschin" é un coltello piccolo. I motivi di tale scelta sono molteplici. Elenchiamoli:

 

punto elenco Questo coltello é un fighter puro. Non è stato progettato per essere un coltello da campo. Questo dettaglio ormai è stato  ripetuto allo sfinimento sia da Fonty, sia dalla ditta costruttrice. Quindi non deve per forza essere grosso come un Khukri
punto elenco Gli operatori del "IX°" anche quando sono al minimo di equipaggiamento individuale, hanno fin troppa roba addosso. Un eventuale coltello cosí specializzato, se deve trovare posto addosso al soldato, deve essere piccolo e leggero

 

Il design é sicuramente raffinato ed affascinante, e denota un pesantissimo inprinting genetico dalle produzioni precedenti della ditta costruttrice. Osservate la fotoxx: chi ha disegnato l'Harpoon F, ha disegnato anche il "Col Moschin". Ecco perchè ho detto prima che Fonty ha fatto da consulente per il coltello, non da designer dalla A alla Z.

 

Se impugniamo il coltello siamo accolti da un'impugnatura rigida che riempie la mano in maniera soddisfacente, il cui studio ergonomico però lascia degli interrogativi. Funziona, ma non si sa il perchè. E' rigida, non ha texture in rilievo, stando al sito del produttore dovrebbe essere realizzata in Kraton, ma di una mescola particolarmente rigida poco grippante, eppure a mano nuda, tiene bene. La rientranza sulla parte anteriore dell'impugnatura, per aumentare la chiusura dell'indice e del medio, può starci come idea.

Se manipoliamo il coltello ci accorgiamo che è molto agile. Nei "giochini inutili" di cambio presa al volo (dalla presa dritta alla presa rompighiaccio), è eccezionalmente veloce.

 

test

Siccome il coltello non è definito come Utility, non ho effettuato i classici "killing tests". Allora ho applicato i test d’ergonomia e operatività nell'uso: ovvero scoprire fino a che condizioni il coltello è saldo in mano.

Il primo test è stato ovviamente simulare la "tipica" situazione operativa dell'operatore. Maneggiare il coltello coi guanti del Reparto. Tra il 2002 ed il 2003 il Reparto è stato fornito da numerose scorte di guanti modello Hatch SOG L100 OPERATOR (ben visibili in numerose fotografie degli operatori del IX° su numerose riviste, anche non specializzate). Questi guanti sono sostanzialmente un guanto in Kevlar con il palmo in pelle di canguro col il design derivato dai guanti dei piloti di Formula 1. Indossando questo guanto ho impugnato il coltello e l'ho manipolato in vari modi, e applicando una trazione, ho capito quando/quanto il coltello rimaneva saldo nella mano. Complessivamente quell'impugnatura cosí rigida e liscia, diventa sdrucciolevole, ma non in maniera drammatica. Però rispetto alla pelle nuda, c'è una perdita di grip, almeno con questo modello specifico di guanti.

Mani sudate. Succede di averle, no? ;) Avete mai corso stringendo un oggetto di plastica in mano? la mano suda, eccome. Per simulare un bel palmo sudato, ho stretto, durante la mia sessione di Jogging di routine, per quaranta minuti un oggetto tondeggiante di plastica. Soddisfatto del livello di sudore raggiunto, ho impugnato il "Col Moschin" senza guanti (si, mi alleno in una zona di periferia piuttosto isolata): in questo caso il "Col Moschin" è una quasi-saponetta in mano. La prova finale, non documentata con foto per motivi di decenza, è stata effettuata con del sangue di cacciagione (opportunamente riscaldato a temperatura corporea). L'impugnatura del "Col Moschin" bagnata con sangue e manipolata con la mano senza guanti, tiene "relativamente" bene. Da un fighter puro c'è da aspettarsi questa situazione. Sudore e sangue si comportano in maniera differente? Certamente, e con l’acqua in una maniera ancora diversa: tiene abbastanza.

 

Sp1k e "Col Moschin". Giusto per averli a confronto.

Il "Col Moschin" nei suoi componenti.

Harpoon F (circa 2001) e "Col Moschin" (dal 2002 in poi). E' evidente che c'è un'unica mano in entrambi i design. Notare la firma sulla lama dell'Harpoon F.

Maneggiando il "Col Moschin" con i guanti di Reparto.

   

CONCLUSIONI

Questo coltello si puó riassumere come un piccolo fighter dalla linea estremamente accattivante realizzato in maniera raffinata, nonostante una patina di apparente (ripeto: solo apparente) semplicità. Il "Col Moschin" non è un coltello improvvisato: é un adattamento operativo di una linea di coltelleria vincente.

A mio avviso, che possa piacere o meno questo coltello, il "Col Moschin" ha un enorme pregio che lo distingue da tutti i coltelli "tattico-militari" del mondo: è il primo vero ed unico coltello ufficialmente voluto, ed adottato, da un Reparto Speciale occidentale. Solo da questo punto di vista ha un valore inestimabile.

Sulla validità operativa, o il bisogno di avere un fighter puro nell'equipaggiamento del moderno Incursore, sono discorsi che possono durare anni, e non portare a nessun risultato. Tanto, chi fa la differenza, è l'Operatore, non gli "attrezzi del mestiere" che si porta in missione. Certo, un buon equipaggiamento, adatto al profilo della missione, non possono che rendergli il compito piú facile. C'è qualcuno che potrebbe dire che, come fighter puro, questo coltello, è corto. La porzione di lama che, in singola stoccata, penetra effettivamente il bersaglio, dopo aver attraversato magari numerosi strati vestiario-buffetteria del soldato moderno, è giudicata insufficiente per arrecare una lesione toracico-addominale "single stop".

Partiamo subito col dire che un'arma da punta-taglio, con dimensioni "portabili", è si uno strumento potenzialmente mortale, ma con un "potere d'arresto" ridicolo. Tabelle statistiche (a cui fanno riferimento i militari) indicano che un avversario perde la capacità di combattere dopo circa dieci secondi che il cuore ha smesso di battere. Persone che hanno preso più di una coltellata al torace ed all'addome sono perfettamente sopravvissute, in pessime condizioni ovviamente, ma sono sopravvissute. E in certi casi hanno continuato a combattere finchè le eventuali emorragie glielo hanno permesso. Tranne un’emorragia tale da togliere ossigeno al cervello nel giro di secondi, per morire a causa di ferite da taglio/punta, servono dei minuti e la mancanza di una sala operatoria a portata di mano…

 

Tutto questo per dire che il coltello del militare, in una situazione di combattimento, dev'essere visto come l'ultima ed assoluta spiaggia, dopo che qualsiasi altra arma piú efficiente a cui poteva avere accesso, non è piú utilizzabile. Per quanto riguarda la "rimozione silenziosa del personale ostile", meglio evitare di addentrarci in un argomento che è sconosciuto praticamente a tutti, in un'epoca di silenziatori relativamente efficienti e di sniper dotati di armi di eccezionale precisione. Chi vuol capire... ha già capito.

 

 

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